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Immagine del redattoreEdoardo Marazita

Ciao vecchia azienda, e ben venuta Party business!

Aggiornamento: 3 giorni fa


Leggevo qualche giorno fa, un interessante passaggio di Jesùs Vega a proposito dello sviluppo di aziende “party business”. Riporto schematicamente i concetti fondamentali che spero siano di una qualche utilità a quanti desiderano dare un impulso moderno alla propria azienda o a quanti stanno operando per svilupparne una da zero.


Tutte le organizzazioni del ventesimo secolo e ventunesimo, sono fondate sul principio di autorità, dal momento in cui il modello seguito, che fino a quel momento col nascente capitalismo, era sembrato il più efficiente ed efficace, si riconduceva a quello di maggior successo alla base del funzionamento militare degli eserciti. Molto semplicemente tutto è impostato sulla forte gerarchizzazione guidata da entità autoritarie.

In questo schema si ricorreva alla stretta dipendenza di relazioni sulla base di cause ed effetti stabilite e gestiti da una piramide, vincolante sia per i clienti che per i collaboratori che in questo contesto definiamo ancora “dipendenti”. Il termine stesso “dipendente” è una insidia neppure mal celata della relazione “capo” “subordinato”, e ancora dove c’è un capo e c’è un subordinato, c’è una relazione sbilanciata.

Partecipazione limitata, creatività ridotta al minimo e condizionata, poco o nessun rispetto per le differenze, orientamento al risultato inteso come obiettivo commerciale.

Ma allo stesso tempo, e da qui il cortocircuito, i dirigenti esigevano prestazioni proprio in quelle voci limitate negli strumenti a disposizione. Creatività, autonomia. Capiamoci. Si pretende che il dipendente sia creativo e si gestisca dentro misure che non ha deciso, non condivide, non conosce nei presupposti, non lo coinvolgono umanamente e direttamente. Questo sviluppa un contesto malato di sfiducia nei confronti della classe dirigente, un malumore per il proprio lavoro. Peggio ancora, totale disaffezione per l’azienda. Scarsa produttività, frammentaria, precaria.


Ma le cose cambiano. E cominciarono a cambiare. Le lotte di classe per i diritti più elementari di parità di sesso, di flessibilità, di uguaglianza sociale, hanno contribuito a interpretare il rapporto subordinato in maniera diversa, condizionando per effetto, l’assetto delle nascenti aziende, in risposta ai tentativi “miserevoli” di quelle consolidate, di mantenere l’ordine costituito.

Oggi è chiaro come le nuove generazioni non concepiscano neppure, l’autoritarismo e il formalismo. Per capirci, non fa più il monaco, l’abito che indossate.

Le aziende più illuminate cambiano assetto. Si adeguano ai principi per i quali le persone sono più direttamente stimolate e coinvolte. Contesti divertenti, aperti e amichevoli, scevri dai vecchi e ammuffiti pronomi del “lei”. Lo stimolo deve essere intenso. La sfida condivisa. Entusiasmante e coinvolgente su tutta la linea. Si creano legami emotivi, si sviluppano sinergie creative. I dipendenti divengono collaboratori, e rappresentano il vero motore e lo strumento principale del successo.


L’orientamento non è più l’obiettivo -prodotto/produzione commerciale ma l’esperienza trasversale, che comincia in azienda e continua, non finisce con il cliente. Non finisce con lui perché questi restituisce alla società feed di affinità, di somiglianza e riconoscibilità, sviluppa adesione, e fidelizzazione.

Si rinuncia allora ai modelli tradizionali, nei quali il “capo” accentra le informazioni in entrata e dispensa quelle in uscita. Finisce l’era del “datore di lavoro” che assume il ruolo di ispiratore, di visionario, che certo indirizza la sua azienda, ma la affida letteralmente alle risorse umane delle quali si circonda.

Il legame emotivo che si viene così a creare alimenta il desiderio di consolidare la relazione umana interna all’azienda, che comincia a comportarsi come un organismo ben ossigenato, al contrario di quelle che sviluppano il cancro dell’asfissia del controllo.

Il monitoraggio delle attività non è invasivo e indagatore. Non ci sono report sul collaboratore, perché egli stesso produce feed sul suo lavoro. Prende decisioni, stabilisce protocolli di sviluppo del progetto nel suo settore, discute con i suoi diretti Product manager e Project manager le strategie migliori.


Si sviluppa la sintonia. Nasce “Party business”. Concetto ostico per la media mediocre di imprenditori italiani, sempre in ritardo sui modelli, sempre riparati dietro la famosa scusa del Made in Italy che dovrebbe renderli a prescindere dalle esigue capacità di cambiamento, “buoni imprenditori”. Basta mettere il naso un pelo fuori dal nostro bel Paese per capire che non ho torto. L’impressione che noi abbiamo “di noi”, crolla al primo scalino fuori dall’aereo, giunti all’estero.

L’impiegato – soldato è dunque finito. Qui si tratta di partecipare alla festa.

Se mai vi riuscisse di avere un appuntamento con Larry Page e Sergey Brin (vi prego non chiedetemi chi sono… no!) la prima stretta di mano, con tutta sicurezza non avverrebbe al di là della loro scrivania dopo un’ora di sala d’attesa ma al di qua della vostra metà campo del tavolo da ping-pong. Prima una partita e poi gli affari. Perché se siete in grado di “prendere seriamente” un gioco, sarete entusiasti di competere negli affari!


Divertimento quindi.


L’imperativo moderno è abbattere la noia. Abbiamo bisogno di stimoli che muovano verso la simpatia o che la noia sia una libera e autonoma concessione alla norma. Le aziende Party Business producono comunicazione brillante, provocazioni nel design di progetto, modelli partecipativi.


Felicità allora.


L’acquisto produce felicità ed è la proiezione dello stesso concetto. Ma i clienti di oggi comprano meno, in proporzione, sebbene ci sembri il contrario, più in settori che hanno eletto per esperienza, nei quali ritrovano radici di appartenenza, di somiglianza, di investimento ludico. Il gioco torna sempre. Il gioco è una cosa seria.

Le aziende lo sanno e muovono meccanismi che creano vincoli positivi e ottimisti nei confronti del loro consumatore che si trova al centro della produzione e non in fondo alla catena. Ricordate il tutto attorno a te? Ecco, qui è vero e non uno spot.


Arte direi!


Le persone di oggi si sono avvicinate all’arte in tutte le sue forme, sono educate al consumo e si circondano si stimoli riconducibili all’arte. Non guardate il dito!! Vi sto indicando la luna. Anche un video game di nuova generazione è arte! In quella esperienza si consumano le arti della scrittura della storia, di regia… Il fumetto è arte. Il gioco da tavolo con la sua industria in crescita annuale a doppia cifra è arte. Il nuovo cittadino sente il bisogno di esprimersi e cerca gli strumenti per farlo. Vi ho sentito!! Non facciamo affermazioni scontate! C’è sempre stato l’imbecille in giro! Oggi semplicemente non si può nascondere.

Le aziende che implementano il senso per l’arte e dell’arte nel loro approccio sono capaci di appassionare collaboratori e clienti. Apple lo aveva capito molto tempo fa. La tendenza a volersi definire artisti, checché ne dicano gli integralisti dell’arte, tipo “eeee ma la pellicola…. E ma le tele…” investe la sfera di una moderna voglia di emancipazione. Si possono definire artisti i creatori di progetto, i designer della programmazione di software… e i partecipanti ai corsi di cucina!


Tempo libero come guadagno!


Il capitalismo fino ad ora è basato sul concetto di produttività e contraddistinto dall’”epica” dell’eroe che lavora e sacrifica la sua vita per il suo sogno! Ottima affermazione di partenza per la definizione del disastro.

Chiaro, è un retaggio dei nostri genitori che venivano dal ben più antico “il lavoro nobilita l’uomo” e dal biblico “tu lavorerai col sudore della tua fronte…”. Genitori che nel migliore dei casi hanno anche avuto successo, hanno comprato tutto e sono infelici. Non è vero. Alcuni sono felici. Ad esempio, sono felici di stare su una barca di lusso, ormeggiata, sorseggiando del costoso Champagne, mentre guardano un maxischermo da 20.000 euro. Tempo libero!


Provocazioni gratuite a parte, sto parlando di modelli di lavoro basati non sull’orario di lavoro, sulla quantità, ma sulla flessibilità, sulla determinazione di responsabilità professionali dei collaboratori e quindi sullo sviluppo di metriche che siano in grado di produrre effetti benefici sulla sostenibilità del carico, sulla qualità della risposta, e sulle autonomie di gestione.

Se l’azienda riesce in questo, può trasformare un collaboratore in un direttore commerciale e ogni cliente in un alleato.

Perché non dimentichiamolo, il prodotto o il servizio offerto ai clienti si porta dietro i limiti della produzione. Se la produzione è stata “una festa”, il prodotto sarà il suo testimone. Persone felici attraggono persone felici e aziende felici attraggono clienti felici.


Alcuni consigli spiccioli ai dinosauri delle vecchie aziende piramidali:

Il telefono costosissimo che avete acquistato, vi svelo un segreto, serve a parlare con le persone. Quando un vostro collaboratore vi chiama, non rispondete “sono in riunione” (non dovrebbe neppure esserci una riunione, ma questo è argomento di altri post), ma meglio un “ti richiamo io tra cinque minuti”. Se non riuscite a trovare cinque minuti per un collaboratore, non è perché avete molto lavoro da fare, quanto perché state lavorando molto male!


Se dopo una lunga riunione (e non dovrebbe neppure esserci una piccola… ma questo come ho detto lo spiego poi) siete sempre voi a dettare le strategie agli astanti, vi chiedo: perché avete fatto una riunione? Bastava una mail! Non avrebbe riempito il vostro ego ma sarebbe stata più utile.


Se disapprovate il modernismo (anche quello offerto da questo articolo), scansatevi, sta arrivando il meteorite e siete su quella traiettoria.


Se siete di quelli che dicono che oggi tutti ne sanno di tutto… dite anche “oplà” quando vi sedete? Mmmmm…


Se pensate che uno di venti anni, ma facciamo anche venticinque, sia ancora giovane per gestire in autonomia un reparto strategico della vostra azienda, lasciatelo libero di andare altrove, non avete molto da insegnargli, relegandolo all’apprendimento della rassegnazione al tempo!


Leader illuminati contribuiscono alla preparazione dei loro collaboratori a tal punto da renderli pronti per altri mercati e migliori aziende, ma allo stesso tempo trattano talmente bene i propri collaboratori da farli sentire di non voler mai lasciare la “casa base”.


Se qualcuno avesse bisogno in privato di più informazioni sull’argomento, questo è il sito al quale raggiungermi. Se non vi rispondo subito, scusate, ma sto finendo un lavoro molto urgente per l’azienda nella quale lavoro e devo scoprire se a Thumbnail di Red Dead Redemption, ci sono davvero i fantasmi.


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